![]() Il vincente, si sa, odia perdere. Ama gareggiare e affronta le sfide a testa alta senza lasciare nulla al caso. Il vincente è anche uno che non si arrende di fronte alle avversità. Solo in questo modo raggiunge il successo sperato. La persona di successo ha determinazione feroce, elasticità e capacità di lavoro. E' convinto di quello che fa. Per questo riesce a dare unità alle proprie azioni: ha la consapevolezza di cosa desidera raggiungere, della propria forza e di ciò che vuole veramente. Si esercita per migliorare le sue prestazioni nel campo, nel settore, nella disciplina di suo maggiore interesse. Così, passo dopo passo, sente di poter raggiungere traguardi personali e professionali all'inizio inattesi, impensati. La persona di successo non è quindi mai soddisfatta. Deve migliorare di continua e mostra la capacità di riprendersi dopo eventi avversi e di scendere immediatamente in pista dopo un insuccesso o un imprevisto. D’altre parte si nota che molti soggetti sono solo degli astri nascenti: sono bravi fino a quando le cose vanno bene, poi alle prime difficoltà mollano. Diventano dei perdenti perché non hanno la giusta disciplina e perseveranza che ci vuole per essere anche considerati persone di valore anche dagli atri. A fare la differenza tra perdenti e vincenti non è il talento innato di cui alcuni sarebbero dotati e altri no, ma la grinta. Secondo Angela Duckworth ("Grinta. Il potere della passione e della perseveranza". Giunti O.S. Psychometrics srl. Firenze, 2017) il talento è qualcosa che non esiste fin dalla nascita. Si può al limite parlare di predisposizione personale. Ma a fare la differenza tra i talenti e non talenti è la caratteristica personale di perseveranza e di costante lotta a concentrarsi sugli obiettivi che si desidera raggiungere. Per essere un talento è quindi fondamentale avere "grinta" che, appunto, la Duckworth, indica come la combinazione di passione e perseveranza. Avere cura delle proprie passioni e farle crescere con costanza e perseveranza, è questo che rende particolarmente speciali alcune persone che devono anche mostrare, naturalmente, determinazione e capacità di stringere i denti quando i risultati non arrivano. La determinazione, la perseveranza, la passione e la costante esercitazione sono importanti elementi per conseguire il successo se però inseriti in un obiettivo personale di lungo periodo, in uno scopo che ha significato per se e gli altri. Infatti gli obiettivi e i valori personali assumono maggiore potenza realizzatrice se concepiti come bene sociale, per gli altri. Ecco quindi che per la Duckworth la "Grinta" si può apprendere facendo leva sugli interessi, sull’esercizio continuo per migliorare (fare pratica), sulla definizione di uno scopo personale e sociale e, infine, sulla speranza, intesa come quel tipo di perseveranza che permette di essere all'altezza delle circostanze.
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Lavorando con le organizzazioni e con le persone ho lentamente maturato il convincimento che l’empatia ha tre livelli.
Al primo livello collocherei quel tipo di empatia che sta al di sotto della coscienza. E’ lo stile organizzativo, la cultura che si respira nelle imprese, il clima emotivo, i codici comportamentali, le modalità scelte dalle persone per presentarsi, vestirsi, discutere, celebrare. Questo tipo di empatia non è di natura cosciente, viene a galla solo quando si prova a introdurre dei cambiamenti nell’organizzazione. Al secondo livello metterei la capacità di cogliere cosa passa per la mente altrui. E’ la cosiddetta sfida di Monna Lisa, il famoso dipinto di Leonardo da Vinci. Qual è il pensiero che sta dietro il mezzo sorriso della donna del ritratto ? Ecco, alcune persone sono particolarmente capaci di farsi un’idea immediata delle sensazioni che gli altri provano. Li capiscono dal “di dentro”, provano le stesse emozioni e colgono i pensieri degli altri. Altre persone fanno fatica a interpretare e collocare nel giusto contesto il significato di un mezzo sorriso. Hanno bisogno di studiare e comprendere domandando. Questo tipo di empatia, quella di terzo livello, spesso riscontrata come mancanza di empatia è, in effetti, un tipo di empatia fredda, che ha bisogno di conferme per comprendere cosa le persone pensano. Questo tipo di empatia è riscontrabile in ogni tipo di popolazione aziendale (dirigenti, quadri, impiegati, lavoratori) ed è molto ricercata perché riesce ad assemblare informazioni che vengono da più fonti (situazioni reali, storia, cultura, immagini, web, ricerche, ecc.) valorizzandole in vista di un obiettivo commerciale, produttivo o di altro genere. Il problema, in molti casi, è che le persone non possono essere entrambi le cose, empatici analitici ed empatici risonanti (come direbbe Goleman). E a tal riguardo è il contesto aziendale (organizzazione empatica o fredda ed ostile) che può attrarre verso di se quelle persone che sono nella media, cioè sia leggermente empatiche risonanti e sia lievemente empatiche analitiche. Capire cosa significa appartener ad una delle due categorie è importante per il successo professionale. Il test Skill View® consente, fra le altre cose, di autovalutare il livello della propria empatia. SEMPRE A PROPOSITO DI GIORGIO CALCATERRA: ANCHE IL PARLAMENTO SI INTERESSA ALLE SUE PRESTAZIONI7/1/2017
L'intervento in Parlamento dell'Onorevole Paolo Cova (runner per passione) per le 12 vittorie di Calcaterra alla 100 km del Passatore Il coaching può essere definito come un processo di apprendimento che si basa sulla volontarietà del coachee e che implica il desiderio di quest'ultimo di impegnarsi profondamente per cambiare il proprio stato e raggiungere nuove mete grazie all'allenamento e all'apprendimento continuo di capacità, competenze e nuovi stili comportamentali . Secondo Bloom (1964), l’apprendimento viene favorito quando sono utilizzate metodologie emotivamente coinvolgenti (che spingono a sentire il bisogno di passare dalla teoria all’azione). Questo approccio, avvallato dalla teoria dell’Intelligenze Emotiva (Damasio, Goleman, Boyatzis, ecc...) e intelligenza Multipla (Howard Gardner), permette al Coach di combinare metodi diversi che valorizzano il sapere acquisito, l’esperienza e la capacità critica degli adulti per promuovere la loro autonomia operativa nel quadro di una collaborazione consapevole e matura tra Coach e Coachee. Il Coach desidera veramente che il Coachee diventi il vero esperto del suo proprio sviluppo, lo responsabilizza sul cambiamento e lo stimola a pensare in termini di soluzioni possibili facendo leva sulle sue potenzialità intuite ma ancora inespresse. Il Coachee è spinto dal lavoro del Coach ad imparare dall'esperienza mediante l’analisi dell'accaduto e di dare una direzione all'azione futura per scoprire nuove strade o modalità più appropriate per promuovere il proprio sviluppo (problem solving). La metodologia, come si intuirà, è centrata sul “soggetto” che apprende per come è, con il suo stile di apprendimento, con i suoi limiti e le sue potenzialità, e per la dimensione sociale che il cambiamento può ultimamente generare. Il Coach che è chiamato ad intervenire come facilitatore del processo di apprendimento del Coachee deve tener conto quindi di come gli adulti imparano. Conclusione Il Coach che interviene per svolgere un importante lavoro di supporto al raggiungimento degli obiettivi di soggetti adulti, dovrebbe tener in considerazione che il loro stile di apprendimento: - fa leva sulla loro motivazione intrinseca (i loro desideri) piuttosto che estrinseca (stimoli esterni); - ha origine dalla necessità di sentirsi valorizzati pienamente; - non è indipendente dalle loro competenze, conoscenze ed esperienze personali e professionali pregresse; - è orientato ad acquisire expertize applicabile immediatamente nella loro vita professionale o privata. E' quindi consigliabile che il Coach si chieda, all'inizio dell'attività di coaching, quali sono gli interessi reali (motivazioni intrinseche) e lo stile di apprendimento del Coachee e cerchi di calibrare linguaggio, comportamento ed esercizi tenendo conto di come gli adulti desiderano essere valorizzati. Molti studi sostengono che la metodologia del coaching ha risultati positivi sulle performance dell’individuo e delle imprese che ne fanno uso. Ed è anche per tale motivo che la figura del Coach sta guadagnando terreno sia sul fronte della vita privata delle persone (Life Coaching) che su quello delle organizzazioni produttive e dei servizi (Business Coaching). Il coaching su misura Certo la scelta del giusto Coach, di colui cioè che è capace di leggere la situazione di partenza del coachee, di individuarne adeguati percorsi di sviluppo, ponderandoli rispetto al contesto personale, della cultura e del clima organizzativo delle imprese, costituisce uno dei fattori di successo degli interventi di coaching. Si nota anche che a influire sui risultati del coaching non sono tanto la sua durata (giorni, numero di sessioni, ecc.) e altri modi d’intervento utilizzati (face to face, telefono, Skype, e-mail,…) ma la sua progettazione. L’intervento di coaching progettato su misura ha quindi risultati migliori rispetto a quelli maggiormente standardizzati. Le aspettative del Coachee Sul successo dell'intervento di coaching pesa l'attesa del Coachee. Se questa è positiva, cioè se il coachee ritiene di poter contare su un Coach che ha un buon curriculum professionale, con casi di successo noti e dimostrabili, allora aumenta la sua aspettativa di poter migliorare, di raggiungere gli obiettivi che si pone e di potenziare le sue qualità professionali. La previsione o l’anticipazione del successo possibile grazie all’intervento di coaching ha in sé un effetto placebo per il coachee. In generale i Coachee mostrano che l’aspettativa di essere coinvolti in un percorso di coaching aumenta il loro desiderio di iniziare il percorso di cambiamento. E i coach che esplicitamente o implicitamente rafforzano nei coachee il messaggio d’imminente cambiamento hanno già iniziato a mobilizzare positivamente le aspettative dei coachee. L'effetto placebo funziona anche nel coaching ! La personalità del coachee che meglio favorisce il successo dell'intervento di coaching. L’intervento di coaching deve tenere conto anche delle differenze individuali dei coachee. La personalità del coachee è importante e può influenzare le perfomance che sono attese dall’intervento di coaching. In particolare i risultati di coaching più significativi si ottengono quando i coachee mostrano l’entusiasmo tipico degli estroversi (sentimenti positivi, voglia di impegnarsi nelle attività, pro attività, condivisione sul lavoro dei risultati raggiunti, ecc.), il desiderio di apprendere (per il nostro modello Skill View, l’intellettualità che fa parte dell’Apertura mentale ) e la continuità nell’eseguire gli esercizi concordati con metodicità e autodisciplina (sottofattori della Coscienziosità). Ho appena terminato la lettura del Libro di Giorgio Calcaterra e Daniele Ottavi "Correre è la mia vita", Edizioni LSWR, Milano, 2016. Il libro costituisce una testimonianza di come una "predisposizione" particolare della persona possa divenire il motivo più importante per riuscire nella vita, per realizzarsi e per essere soddisfatti per quello che si è. Ma anche per quello che si può fare per se e gli altri. Calcaterra inizia fin dalla giovane età a correre. In questa vocazione è seguito con discrezione e attenzione dal suo papà. Valori come quello della famiglia, della fatica, dell'onestà, del desiderio di stare con se stesso rispettando la propria indole, di sentirsi libero e di combattere contro ogni forma di truffa, costituita dal doping sportivo, costituiscono per Calcaterra motivi per la quale battersi. Sia nella vita privata che in quella pubblica. Ma non solo. La cosa che sbalordisce enormemente è la quantità di lavoro che Calcaterra si sobbarca per raggiungere questi obiettivi a lui più congeniali. Oltre a fare il tassista per moltissimi anni si allena alle lunghe distanze con sedute mattutine e pomeridiane. Non è un professionista. Non lo vuole fare. Si dirà, allora, "ma chi glie lo fa fare ?" Per Calcaterra la corsa rappresenta "la gioia di vivere", quella gioia che esprime con disarmante semplicità, disponibilità e riservatezza. In ogni manifestazione. Calcaterra è diventato così un esempio per molti runner e professionisti. E molti hanno compreso che a fianco della dote naturale per raggiungere grandi traguardi c'è bisogno di costanza, persistenza, umiltà, coscienza dei propri limiti e rispetto degli altri. La misura del talento. Calcaterra non è mai sceso nella Maratona a meno di due ore e dieci. Questo dato gli ha impedito di mettersi sullo stesso piano di altri grandi interpreti di questa gara. Di questa debolezza ne ha però ha fatto un punto di forza quando, grazie alle sue doti di resistenza, è stato in grado di correre in un solo anno, contro il parere di tutti gli esperti, sedici maratone sotto le due ore e venti minuti. Questo record è ancora imbattuto. Un'altra modalità di misurare il talento basato su altre doti come la continuità, la resistenza, il sacrificio e la persistenza. Tre volte campione del mondo dei 100 km; undici volte vincitore dalla Firenze - Faenza (gara del Passatore) e una incredibile quantità di maratone, mezze maratone, cinquanta chilometri, ecc. disputate e tantissime gare vinte (molte volte l'unico italiano dietro i keniani): sono questi i numeri che hanno permesso a Calcaterra di passare dal ruolo di corridore naif a professionista riconosciuto. Un'altro aspetto interessante della personalità di Calcaterra è stato il suo progressivo divenire di atleta locale a top runner globalizzato. Dopo la fama conquistata sul campo ha corso in moltissime importanti manifestazioni del mondo sia per ragioni sportive che filantropiche. Dunque: talenti naturali, allenamento continuo, valori personali da perseguire, stimoli sempre nuovi, capacità di porsi nuovi obiettivi e coscienza dei propri limiti, sono gli ingredienti del successo anche in molte altre discipline, non solo quelle sportive. La popolarità e la globalizzazione del proprio talento sono state per Calcaterra conseguenza dei risultati ottenuti che però sono stati riconosciuti e certificati da altri. O dal cronometro ... Non mere operazioni di branding. Per ogni coach l'indicazione che ne segue è quella di riconoscere le caratteristiche, i talenti propri della persona senza doverli per forza manipolare finalizzandoli a raggiungere obiettivi che sono magari di altri soggetti (l'impresa, ad esempio). Se obiettivi personali e quelli lavorativi coincidono, tanto meglio per tutti. Ma se questi sono antitetici nessun coach potrà favorire i cambiamenti contrari ai valori e talenti del coachee. Le ricerche della psicologia hanno trascurato il ruolo che la personalità recita nel favorire il successo degli interventi di Coaching. Tuttavia tale collegamento è evidenziato indirettamente da numerosissimi studi sul rapporto, ad esempio, tra successo lavorativo e fattori di personalità. Tali studi suggeriscono che la personalità, aldilà delle tecniche e metodologie di Coaching impiegate, potrebbe influenzare lo stile del Coach e, in definitiva, il successo dell’intervento di Coaching e il trasferimento delle competenze apprese dai clienti in ambito lavorativo o in altri ambiti della loro vita.
Senza entrare nei dettagli di cosa s’intende oggi per personalità è utile notare che il modello interpretativo più diffuso fra gli studiosi, quello dei cinque fattori (i Big Five: Estroversione, Amicalità, Coscienziosità, Stabilità Emotiva e Apertura mentale), ha ampia applicazione nella selezione, nella valutazione del personale e nella perfomance lavorativa. Le ricerche condotte con tale metodologia e la sua variante, il modello Five Factor Model, dei sottofattori di personalità (il NEO PI R di Costa e McCrea[1]), mostrano, ad esempio che i manager individuati da McClelland come high achiever (soggetti “caratterizzati da alta autonomia, dalla capacità di gestione degli uomini e risorse per il raggiungimento dell’obiettivo, dal desiderio di raggiungere mete difficili e ambiziose”) sono mediamente più estroversi, coscienziosi e aperti alle novità rispetto ai manager low achiever (individui caratterizzati da un “basso livello di autostima e tendenti ad attribuire il successo a cause diverse dalle proprie capacità, quali la fortuna, l’aiuto degli altri o la facilità del compito”).[2] _____________________ Nel settore medico coloro che si laureano più velocemente e riescono a emergere nell’ambito professionale presentano forti doti di estroversione, oltre che di coscienziosità (che mette in grado le persone di agire consapevolmente per raggiungere gli obiettivi che si pongono). Questi medici, se si trovano nella condizione di avere scarso livello di amicalità, potrebbero essere poco graditi ai loro pazienti e dovrebbero effettuare dei percorsi di apprendimento volti a rafforzare le loro capacità empatiche. In quest’ultimo caso, ad esempio, la funzione del Coach e la sua mission di potenziamento e sviluppo sarebbe chiaramente molto importante e finalizzata. [1] Costa, P. T., Jr., & McCrae, R. R. (1995). Domains and facets: Hierarchical personality assessment using the Revised NEO Personality Inventory. Journal of Personality Assessment, 64, 21-50. [2] G.Costa, P. Gubitta, “Organizzazione aziendale. Mercati, gerarchie e convenzioni”, Mc-Graw-Hill, 2004, pp. 48-49. |
Demetrio Macheda
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