Ho appena terminato la lettura del Libro di Giorgio Calcaterra e Daniele Ottavi "Correre è la mia vita", Edizioni LSWR, Milano, 2016. Il libro costituisce una testimonianza di come una "predisposizione" particolare della persona possa divenire il motivo più importante per riuscire nella vita, per realizzarsi e per essere soddisfatti per quello che si è. Ma anche per quello che si può fare per se e gli altri. Calcaterra inizia fin dalla giovane età a correre. In questa vocazione è seguito con discrezione e attenzione dal suo papà. Valori come quello della famiglia, della fatica, dell'onestà, del desiderio di stare con se stesso rispettando la propria indole, di sentirsi libero e di combattere contro ogni forma di truffa, costituita dal doping sportivo, costituiscono per Calcaterra motivi per la quale battersi. Sia nella vita privata che in quella pubblica. Ma non solo. La cosa che sbalordisce enormemente è la quantità di lavoro che Calcaterra si sobbarca per raggiungere questi obiettivi a lui più congeniali. Oltre a fare il tassista per moltissimi anni si allena alle lunghe distanze con sedute mattutine e pomeridiane. Non è un professionista. Non lo vuole fare. Si dirà, allora, "ma chi glie lo fa fare ?" Per Calcaterra la corsa rappresenta "la gioia di vivere", quella gioia che esprime con disarmante semplicità, disponibilità e riservatezza. In ogni manifestazione. Calcaterra è diventato così un esempio per molti runner e professionisti. E molti hanno compreso che a fianco della dote naturale per raggiungere grandi traguardi c'è bisogno di costanza, persistenza, umiltà, coscienza dei propri limiti e rispetto degli altri. La misura del talento. Calcaterra non è mai sceso nella Maratona a meno di due ore e dieci. Questo dato gli ha impedito di mettersi sullo stesso piano di altri grandi interpreti di questa gara. Di questa debolezza ne ha però ha fatto un punto di forza quando, grazie alle sue doti di resistenza, è stato in grado di correre in un solo anno, contro il parere di tutti gli esperti, sedici maratone sotto le due ore e venti minuti. Questo record è ancora imbattuto. Un'altra modalità di misurare il talento basato su altre doti come la continuità, la resistenza, il sacrificio e la persistenza. Tre volte campione del mondo dei 100 km; undici volte vincitore dalla Firenze - Faenza (gara del Passatore) e una incredibile quantità di maratone, mezze maratone, cinquanta chilometri, ecc. disputate e tantissime gare vinte (molte volte l'unico italiano dietro i keniani): sono questi i numeri che hanno permesso a Calcaterra di passare dal ruolo di corridore naif a professionista riconosciuto. Un'altro aspetto interessante della personalità di Calcaterra è stato il suo progressivo divenire di atleta locale a top runner globalizzato. Dopo la fama conquistata sul campo ha corso in moltissime importanti manifestazioni del mondo sia per ragioni sportive che filantropiche. Dunque: talenti naturali, allenamento continuo, valori personali da perseguire, stimoli sempre nuovi, capacità di porsi nuovi obiettivi e coscienza dei propri limiti, sono gli ingredienti del successo anche in molte altre discipline, non solo quelle sportive. La popolarità e la globalizzazione del proprio talento sono state per Calcaterra conseguenza dei risultati ottenuti che però sono stati riconosciuti e certificati da altri. O dal cronometro ... Non mere operazioni di branding. Per ogni coach l'indicazione che ne segue è quella di riconoscere le caratteristiche, i talenti propri della persona senza doverli per forza manipolare finalizzandoli a raggiungere obiettivi che sono magari di altri soggetti (l'impresa, ad esempio). Se obiettivi personali e quelli lavorativi coincidono, tanto meglio per tutti. Ma se questi sono antitetici nessun coach potrà favorire i cambiamenti contrari ai valori e talenti del coachee.
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Demetrio Macheda
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